Caro Diario,
ogni tanto mi pongo delle domande esistenziali.
Per esempio: ma davvero chi si accontenta gode? Gioire delle piccole cose, è così salutare? A volte mi sembra un nobile pretesto per distogliere l'attenzione da ciò che davvero conta.
Accontentarmi non mi piace. Accetto con coscienza quel che non posso cambiare e mi adatto al cambiamento per poter trarne il meglio. ma la mia attitudine è cercare qualcosa che è più avanti di me. Sono contenta e soddisfatta di ciò che ho e che sono e che faccio, ma ho da sempre dentro di me una spinta che mi pungola ad andare oltre. Non ne soffro, non vivo male, ma a volte mi affatica.
E poi, di che cosa ci si accontenta? Di sognare invece di fare? Di desiderare invece di avere? Di sentire il profumo d'arrosto invece di assaporarne il sapore succulento?
Ho fatto un'indagine di mercato. Pare che la gente associ al verbo accontentarsi la felicità delle (solite) piccole cose, i sogni e i desideri.
È bello godere di quel che si ha, si è e si fa - una sensazione molto appagante: Essere contenti delle proprie scelte è uno dei fondamenti della vita. Oltre ai desideri e ai sogni, però, ci sono anche i bisogni!
Mumble, mumble.
Dopo attente riflessioni, ecco la mia risposta: non sono i sogni o i desideri irrealizzati, ma i bisogni non soddisfatti a farmi dire "mi accontento".
E tra i bisogni (quelli veri, tipo la salute) c'è anche crescere come persona: per me è un viaggio continuo e tortuoso, spiacevole e piacevole, doveroso sempre e sempre entusiasmante.
Le cose belle che ci accadono e che abbiamo, come la persona che siamo e le azioni che compiamo, sono frutto delle nostre scelte: è giusto e doveroso come esseri viventi riconoscerne la bellezza e gioirne. Ed è altrettanto giusto e doveroso come esseri viventi accorgersi di poter migliorare, non arrendersi e non accontentarsi di quel che possiamo cambiare.
Altrimenti, a che cosa serve vivere?
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