Caro Diario,
non amo cucinare, ma a volte mi piace.
Cucinare per me non è un'arte, né una meditazione in movimento, né un gioco divertente. Cucinare per me è solo un'esigenza, piuttosto antipatica.
Il mio sogno maledetto è uscire a pranzo e cena ogni giorno, senza mai perdere il ritmo e, se possibile, nemmeno la linea.
Cucinare non mi piace, come non mi piacciono gli obblighi in generale.
Eppure.
Eppure cucino. Solo a pranzo, però: arrivo a sera talmente stanca che preferirei mangiare le unghie invece di cucinare. Poiché il marito è discorde e poiché rincasa più stanco di me, mi tocca trovare una soluzione.
Eccola: quando la campana della chiesa rintocca l'una, mollo il lavoro, lavo le mani e preparo da mangiare. Da quando ci rifiutiamo di mangiare cibi acquistati già pronti, significa cucinare le verdure - lavoro lungo e noioso. Bisogna lavarle, pelarle, mondarle, affettarle, grattugiarle, scottarle, brasarle, saltarle, arrostirle...
Ma se lo fo una volta per tutte, fo prima. Quindi lunedì - per esempio - preparo la zuppa di carote per me a pranzo e le carote al forno per il resto della settimana. E via così ogni giorno. Così la sera, basta riscaldare o scongelare una porzione doppia e preparare la carne o il pesce o il formaggio.
Cucino le verdure sempre nello stesso modo, una vera noia. Da settimana scorsa mi cimento in nuove ricette: seguo i nostri libri di cucina, scelgo quelle più semplici e più vicine ai nostri gusti e provo.
Io non cucino: sperimento. E sperimentare mi piace e mi diverte. Pesto aglio, cumino e paprica nel mortaio, affetto carote, regolo il fuoco, calcolo i minuti. Assaggio, annuisco, riassaggio perché è buono.
Questa sera una giuria darà il verdetto finale: se l'esperimento avrà successo, la ricetta sarà riproposta in futuro.
Il marito non lo sa, ma è salvo grazie a un cambio di verbi.
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